L’ultimo lenzuolo bianco di Farhad Bitani

Titolo Originale: The Last White Sheet

Genere: Biografia

Pagine: 208

Casa Editrice: Neri Pozza

L’ultimo lenzuolo bianco di Farhad Bitani

«Sono tante, forse troppe, le cose che ho visto nei miei primi trentatré anni di vita. Adesso le racconto. Ho lasciato le armi per impugnare la penna. Traccio i fatti senza addolcirli, senza velarli. Dopo aver vissuto l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza nell’ipocrisia, ho un tremendo bisogno di verità».
Inizia così la sconvolgente testimonianza di Farhad Bitani, ex capitano dell’esercito, un giovane uomo che ha attraversato da osservatore privilegiato la storia dell’Afghanistan: dal potere dei mujaheddin ai talebani fino al governo attuale, che vive sotto l’ombrello occidentale.
Farhad nasce a Kabul nel 1986, ultimo di sei fratelli. Suo padre è un generale dell’esercito di Mohammad Najibullah Ahmadzai, il quarto e ultimo presidente della Repubblica Democratica dell’Afghanistan. Ma, con la presa del potere da parte dei mujaheddin, nel 1992, le cose cambiano. Solo rinnegando il passato e diventando un mujahed, il padre di Farhad avrà salva la vita.
Da quel momento l’esistenza del giovane Farhad cambia radicalmente. La sua famiglia si trasferisce in una grande casa, presidiata dagli uomini della scorta. È a loro che Farhad chiede in prestito le armi, per i suoi giochi di bambino. Quello che sogna è un futuro da combattente, alla testa di un manipolo di uomini. Sparare, uccidere, avere potere e ricchezza: non c’è nulla che desideri di più. Ma le cose sono destinate a mutare ancora. Quando i talebani strappano il potere ai mujaheddin, la sua famiglia cade in disgrazia. Mentre suo padre si trova in prigione, Farhad conosce la fame, la miseria, l’indottrinamento forzato all’Islam. Condotto allo stadio, viene costretto ad assistere alle lapidazioni del venerdì, le punizioni per gli infedeli, coloro che trasgrediscono le leggi del fondamentalismo. Sarebbe facile cedere all’imbarbarimento, credere a ciò che viene inculcato, diventare come coloro che professano la pace, alimentando la guerra. Ma se fosse possibile un destino diverso? Si può attraversare l’inferno e uscirne redenti?

“L’Afghanistan è uno zoo con i leoni al potere in mezzo a una folla di uccellini. Non ci sono regole, vige solo la legge del più forte.”

Ho letto questo libro spinta dalle ultime vicende politiche e anche perché volevo una pausa dal romance, però credo che mi ci ritufferò a velocità supersonica. Non perché non mi sia piaciuto, badate bene, ma perché vi ho scorto una desolazione, una disperazione per una realtà che ha davvero ben poche speranze, tali da avermi tolto il fiato e la voglia di proseguire. Spesso ci indigniamo leggendo di personaggi di fantasia perfidi e disumani. Be’, qui andiamo oltre la disumanità. Qui si trattengono a stento i conati.

Non voglio entrare nel merito di ragioni storiche, politiche, economiche, culturali e credo religiosi perché non ho abbastanza competenze per farlo e suonerei blasfema e intollerante, ma parlo solo perché credo nell’Uomo, nella modernità, nel fatto che uniti siamo una forza mostruosa in grado di sconfiggere qualsiasi gigante. Ma questa marmaglia che siede sui troni di nazioni spolpate come carcasse dalle iene non merita nessuna pietà, che sia nera, rossa, gialla o turchina.

La povera gente, quel popolo senza potere, senza pane e purtroppo senza istruzione, subisce e basta, troppo sottomesso e maltrattato anche solo per alzare la testa. Figuriamoci rendersi conto di essere bestiame al macello e ribellarsi.

Nel corso della lettura ho dovuto prendermi spesso delle pause perché mi sentivo male per la pena e l’impotenza. E come tanti, come quasi tutti, credevo nell’intervento americano e europeo  perché chi possiede di più ha l’obbligo morale di prodigarsi per chi invece non possiede nulla. Ma forse qui è come cercare di piantare un germoglio dove non c’è ne’ terra ne’ acqua. Non può nascerne nulla.

“A causa del fondamentalismo il mio paese è diventato una sala giochi per i potenti stranieri. E gli afghani sono le palle da biliardo.”

Un racconto vero, senza veli, senza omissioni e senza pietà. Se vi regge lo stomaco è una lettura a mio parere molto significativa sull’Afghanistan e la sua  difficile situazione. Passa il tempo e la civiltà si evolve, ma il dio indiscusso, qualunque nome gli si voglia dare, non è Dio, non è Allah né TizioCaioRedeiRe, è invece sempre il maledetto Denaro.

Solo parlando, raccontando la verità come ha fatto Farhad si può tentare di squarciare secoli di abusi, violenze, sperpero e ignoranza. E far sì che quel deserto arido fiorisca.

Intanto per aver scritto questo memoriale lo scrittore si è guadagnato la condanna a morte da parte del suo paese, se mai dovesse tornare, e l’ostracismo dalla sua famiglia.

Torno al mio romance, voglio dimenticare certe immagini.

Giudizio:

Classificazione: 4 su 5.

Violenza

Navillus

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